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Kashmir, la più lunga chiusura di Internet mai imposta in una democrazia: “Una violazione della libertà di espressione”

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Kashmir, dopo 5 mesi Internet sarà parzialmente riattivato, ma resta il ban per i social network

Aggiornamento 15 gennaio 2020: Ieri sera, l'amministrazione del Kashmir ha comunicato che sarà ripristinato l’accesso a Internet per quei soggetti che offrono servizi per la comunità come ospedali, banche, uffici governativi, hotel, tour operator e agenzie di viaggio. L’accesso sarà possibile a Srinagar, la capitale della regione, e poi gradualmente nelle altre aree.

Secondo la disposizione, sarà ripristinato anche il servizio Internet mobile 2G a bassa velocità in cinque distretti della regione di Jammu, mentre resterà sospeso in tutti gli altri. Continuerà a essere vietato l’utilizzo dei social network il cui accesso sarà impedito da firewall.

La decisione dell’amministrazione, tuttavia, non rispetta la sentenza della Corte suprema indiana, spiega al Guardian Anuradha Bhasin, direttore esecutivo del Kashmir Times. La Corte suprema aveva ordinato al governo del presidente Modi di rivedere le restrizioni di accesso alla Rete entro una settimana, affermando che la sospensione indefinita dei diritti delle persone è un abuso di potere.

La Corte suprema indiana ha ordinato al governo del presidente Modi di rivedere le restrizioni di accesso alla Rete entro una settimana, affermando che la sospensione indefinita dei diritti delle persone è un abuso di potere.

L'opposizione alle politiche governative non può giustificare una simile repressione, scrive il Guardian riportando la sentenza.

Lo scorso agosto, il presidente Narendra Modi ha revocato l'autonomia di Jammu e Kashmir e ha diviso lo Stato in due territori sotto il diretto controllo di Delhi. A questa decisione sono poi seguite una serie di misure repressive: il coprifuoco, la detenzione di leader politici e l'interruzione di tutte le comunicazioni, compresi telefoni e Internet. Si tratta della più lunga chiusura di Internet mai imposta in una democrazia.

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Gradualmente sono stati ripristinati i servizi di telefonia e quelli SMS, ma 7 milioni di kashmiri non hanno ancora accesso alla Rete.  Il governo ha ripetutamente giustificato la sospensione di Internet come necessaria per proteggere vite umane e prevenire il terrorismo.

La sentenza della Corte è arrivata in seguito alle petizioni presentate tra gli altri da Anuradha Bhasin, direttore esecutivo del Kashmir Times e da Ghulam Nabi Azad, leader del partito d'opposizione nel Congresso nazionale indiano.

La chiusura di Internet ha avuto forti ricadute sull'economia. Sono stati persi posti di lavoro, schiacciando l'innovazione e costringendo in massa i giovani ad andare via in cerca di occupazione. Le aziende locali, dagli albergatori agli artigiani, sono in crisi. Secondo un rapporto della società di ricerca Top10VPN - scrive il Guardian - lo scorso anno l'India ha perso oltre 1,3 miliardi di dollari (1,16 miliardi di euro) in seguito alla chiusura di Internet, non solo in Jammu e Kashmir, ma anche in altre aree.

Sheikh Ashiq, presidente della Camera di Commercio e dell'Industria del Kashmir, conferma quella cifra. «Il turismo dipende interamente da Internet, migliaia di artigiani sono in difficoltà perché non possono più vendere i loro prodotti online». Ashiq ha descritto la situazione attuale come una vera e propria "agonia".«Questa scelta ci ha colpito gravemente. Viviamo in un mondo con un'economia basata su Internet e viviamo in un posto dove Internet non c'è».

La Corte ha lasciato però all'amministrazione la facoltà di decidere, anche se è abbastanza improbabile che il governo possa ignorare una sentenza così forte e significativa, forse potrebbe optare per un ripristino parziale e graduale.

Giovedì scorso il governo ha portato in Kashmir 15 ambasciatori, incluso l'inviato degli Stati Uniti, per mostrare loro la situazione sul campo. Secondo i critici si è trattato di una "farsa", un "tour guidato". I rappresentanti dell'Ue hanno rifiutato di partecipare perché gli è stato impedito di scegliere autonomamente e in maniera indipendente le persone e i gruppi con cui parlare.

A denunciare i danni e le gravi conseguenze dell'interruzione di Internet nei giorni scorsi anche i medici. Questo blocco è costato anche vite umane, quante non lo sapremo mai. «Abbiamo salvato delle vite e stava andando tutto molto bene fino a quando non ci hanno costretto a fermarci. Non so quanti pazienti abbiamo perso, ma l'assistenza ai pazienti, con il blocco di Internet, ne ha sicuramente risentito», racconta al Guardian Imran Hafeez, un medico di 43 anni con quasi vent'anni di esperienza come cardio-chirurgo.

Nella regione del Kashmir, le aree montuose e reti stradali vecchie e obsolete costringono a viaggi che possono richiedere giorni. I pazienti che soffrono di emergenze cardiache spesso non riescono ad avere in tempo le cure di medici specializzati né ad arrivare ai principali ospedali. Ma attraverso una rete di volontari, 1.200 medici in tutta la regione erano collegati tra loro attraverso quattro gruppi su WhatsApp, dove condividevano le segnalazioni di emergenze cardiache per effettuare una diagnosi immediata e predisporre gli interventi.

«Era il miglior ospedale virtuale e i medici erano uniti da WhatsApp. È stata un'iniziativa meravigliosa», ha dichiarato Hafeez al Guardian, raccontando con orgoglio uno dei loro casi, in cui un giovane in una remota regione montuosa mostrava un calo di pressione sanguigna e forti dolori al petto e stava per morire. Il medico che stava assistendo l'uomo ha pubblicato un messaggio sul gruppo e, a diverse centinaia di miglia di distanza, Hafeez ha immediatamente capito che l'uomo stava avendo un infarto.E così nel gruppo hanno iniziato a dare indicazioni su cosa fare. «Novanta minuti dopo, il giovane era stabile e cosciente».

In questi due anni, il gruppo ha operato 24 ore su 24, analizzato 38.700 elettrocardiogramma  e gestito 19.395 casi. Questo fino al 5 agosto, quando è stata imposta una sospensione indefinita di Internet nella regione.

La settimana scorsa è stata ripristinata la connessione in 80 ospedali pubblici  ma ci sono ancora 1000 ospedali privati e strutture mediche senza accesso. E questo, secondo i medici, ha compromesso l'assistenza a molti pazienti e l'accesso ai farmaci.

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L'India sta vivendo un momento difficile e di forti tensioni. Dopo la decisione di revocare l'autonomia di Jammur e Kashmir, è stata approvata una legge sulla cittadinanza che di fatto discrimina la popolazione musulmana. La decisione ha scatenato proteste in tutto il paese. Lo scorso mese sono stati imposti blocchi alla Rete in alcune aree dell'Assam, in tutto lo stato più popoloso dell'India, Uttar Pradesh, e, per la prima volta, nella capitale, Delhi.

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«Ogni volta che il governo teme che ci saranno disordini civili, piuttosto che affrontarli con mezzi democratici o affrontare le cause profonde, chiude Internet perché è la cosa più semplice da fare», ha detto sempre al Guardian Sundar Krishnan, direttore esecutivo di SFLC.in, un gruppo di difesa dei diritti che tiene traccia delle chiusure di Internet in India dal 2012.

Krishnan ha anche sottolineato che diversi studi recenti hanno rivelato che è un errore pensare che la chiusura di Internet freni i disordini, piuttosto contribuisce a un loro aumento.

Questi blocchi chiaramente hanno avuto un forte impatto anche sul lavoro giornalistico. Su Valigia Blu avevamo parlato di come i giornalisti nonostante questa situazione fossero impegnati nel continuare a fornire giornali e informazioni ai loro concittadini.

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Il 6 gennaio un gruppo di giornalisti ha protestato contro il blocco di Internet. La maggior parte oggi riesce a lavora grazie al centro media messo a disposizione dal governo, che fornisce l'accesso a Internet in una sala conferenze in un hotel a Srinagar.

La giornalista Sunaina Kumar ha parlato con i giornalisti che lavorano sul campo in Kashmir sia per la carta stampata che per l’online per capire come riescono a continuare a lavorare nonostante le sfide che devono affrontare.

Si lavora in un contesto di paura e di forte sfiducia. Il rapporto con le fonti è fondamentale, sin dai primi giorni del blocco non è stato più possibile mettersi in contatto con loro. La diffidenza a parlare con i giornalisti porta diverse fonti a usare servizi di messaggistica crittografati. Da quando c’è il blocco questo non è stato più fattibile. Per aggirare il problema i giornalisti cercano di fare interviste da vicino. In una situazione di conflitto poi è fondamentale stare attenti anche a chi si professa testimone di incidenti e scontri. Ogni singolo pezzo di informazione va testimoniato. Per aggirare il blocco delle comunicazioni, molti aspettavano fuori all’aeroporto per spedire le loro storie stampate su carta o salvate su una chiavetta USB affidandole a passeggeri che viaggiavano fuori regione. «Ci siamo dovuti adattare a una situazione che ci ha riportato a un’epoca senza connessione», racconta Aliya Bashir, che lavora con il Global Press Journal. «Scrivevo le mie storie in Kashmir, poi andavo fino a Delhi per archiviarle e per comunicare con i miei colleghi negli Stati Uniti».

Foto via Scroll


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